Albert Ayler, un ricordo. A 50 anni dalla morte (5./5)
Albert Ayler fu ritrovato morto
nell’East River a New York il 25 novembre del 1970. Non aveva più dato
notizie di sé da 20 giorni, le circostanze della morte non furono mai
del tutto chiarite.In poco più di una decina d’anni di carriera, il
sassofonista nativo dell’Ohio, che aveva iniziato a suonare
rhythm’n’blues, si impose come una delle figure più anticonvenzionali
del free jazz e della new thing.Nella sua estetica, tra le più radicali
dell’epoca, accanto a quella di Cecil Taylor, convivevano musiche di
strada, marce militari, motivetti semplici e canticchiabili, tutto quel
tessuto di influenze che si incanalarono a poco a poco nella grande
corrente del jazz, accanto alle furiose esplosioni sonore che
diventarono un vero e proprio marchio di fabbrica.
Semplicità/complessità: la musica di Ayler si è sempre mossa tra questi
due opposti. Molti hanno reso omaggio alla sua influenza, da Ornette
Coleman a Eric Dolphy, a John Coltrane, sia per le idee proposte che per
una perizia strumentale che contribuì ad estendere i limiti del suo
strumento, il sax tenore. Molti i musicisti che lavorarono con lui: Gary
Peacock, Henry Grimes, Sunny Murray, Don Cherry, Ruswell Rudd, John
Tchicai, Alan Silva.
Riccardo Bertoncelli, collezionista dei dischi di
Ayler, ci guida nella riscoperta della sua vicenda artistica.
Nessun commento:
Posta un commento