Il teatro di Dario
Fo è sempre stato un teatro pieno di musica e canzoni, anche perché
i suoi esordi sono stati nel mondo della rivista, Anche le sue
successive commedie surreali erano piene di canzoncine che
commentavano la storia. Ha partecipato a una Canzonissima
censuratissima, piene di sue canzoni ironiche ed alcune di esse sono
poi diventati dei successi nell'interpretazione di Enzo Jannacci. E'
stato anche regista di spettacoli di canti popolari
politici.
L'appellativo del titolo, però, fa riferimento alla sua opera più fortunata, quel Mistero Buffo che nel 1969 segnò una svolta alla sua storia di teatrante. Mistero buffo è un monologo in un dialetto nordico inventato che racconta le storie dei vangeli in maniera non paludata, con un occhio molto attento alla drammaturgia del Ruzante. Questo dialetto padano-bergamasco-varesino consente a Fo di giocare sui suoni, deformandoli ad uso comico o drammatico, utilizzando anche la tecnica del grammelot, una lingua solo fonetica inventata ad imitazione di lingue straniere ver. Insomma un linguaggio che un appassionato di jazz definirebbe scat, ovvero quella sillabazione onomatopeica che sostituisce il testo, portata alla perfezione da Louis Armastrong e da Ella Fitzgerald.
La caratteristica principale del testo, ovvero delle varie versioni diverse fra loro che nel tempo sono state rappresentate con lo stesso titolo, è data dall'improvvisazione: un testo-canovaccio frutto di un grande lavoro di ricerca che diventa il punto di partenza per una serie di narrazioni con variazioni sul tema. Variazioni causate anche dalla voglia dell'autore di agganciarsi alla realtà, commentandola quasi in tempo reale, con continue battute modificate in funzione degli accadimenti politici.
Un'altro aspetto che imponeva continui aggiustamenti del testo era dato dal suo linguaggio: più lo spettacolo si allontava dal nord e più si rendeva necessaria una spiegazione più accurata dei momenti salienti della storia. In pratica il testo alla fine della stagione era molto diverso da quello della prima.
L'ultimo aspetto essenziale dell'opera di Fo e del Mistero buffo in particolare, era il ritmo. Come si sa il ritmo a teatro è una bella fetta del successo e nelle commedie è un dato imprescindibile, per cui tutta la carriera di Fo è stata un lungo viaggio a tempo di marcia, o meglio a ritmo di swing.Nel suo recitare solo la necessità di ritmo è tutta sulle spalle di un solo attore, che ha il vantaggio di non doversi trascinare a volte attori non all'altezza ma che comporta un gran dispendio di energie. Fo sapeva conquistarsi il pubblico con crescendi travolgenti per poi rilassarsi (e rilassare il pubblico) con dei momenti di calma dove gicava sulle sfumature, ma pronto a riprendere la marcia con brio non appena si accorgeva che il pubblico cominciava un po' a deconcentrarsi. Un gran lavoro d'interazione attore-pubblico che rendeva una serata sempre diverse dalle altre. Ovviamente tutto questo è stato realizzato al massimo livello dal Fo della maturità, dove l'esperienza era aiutata ancora da un perfetta tenuta scenica. Con gli anni, ovviamente, i tempi si sono dilatati e l'effetto travolgente è stato sostituito da quello sornione.
L'appellativo del titolo, però, fa riferimento alla sua opera più fortunata, quel Mistero Buffo che nel 1969 segnò una svolta alla sua storia di teatrante. Mistero buffo è un monologo in un dialetto nordico inventato che racconta le storie dei vangeli in maniera non paludata, con un occhio molto attento alla drammaturgia del Ruzante. Questo dialetto padano-bergamasco-varesino consente a Fo di giocare sui suoni, deformandoli ad uso comico o drammatico, utilizzando anche la tecnica del grammelot, una lingua solo fonetica inventata ad imitazione di lingue straniere ver. Insomma un linguaggio che un appassionato di jazz definirebbe scat, ovvero quella sillabazione onomatopeica che sostituisce il testo, portata alla perfezione da Louis Armastrong e da Ella Fitzgerald.
La caratteristica principale del testo, ovvero delle varie versioni diverse fra loro che nel tempo sono state rappresentate con lo stesso titolo, è data dall'improvvisazione: un testo-canovaccio frutto di un grande lavoro di ricerca che diventa il punto di partenza per una serie di narrazioni con variazioni sul tema. Variazioni causate anche dalla voglia dell'autore di agganciarsi alla realtà, commentandola quasi in tempo reale, con continue battute modificate in funzione degli accadimenti politici.
Un'altro aspetto che imponeva continui aggiustamenti del testo era dato dal suo linguaggio: più lo spettacolo si allontava dal nord e più si rendeva necessaria una spiegazione più accurata dei momenti salienti della storia. In pratica il testo alla fine della stagione era molto diverso da quello della prima.
L'ultimo aspetto essenziale dell'opera di Fo e del Mistero buffo in particolare, era il ritmo. Come si sa il ritmo a teatro è una bella fetta del successo e nelle commedie è un dato imprescindibile, per cui tutta la carriera di Fo è stata un lungo viaggio a tempo di marcia, o meglio a ritmo di swing.Nel suo recitare solo la necessità di ritmo è tutta sulle spalle di un solo attore, che ha il vantaggio di non doversi trascinare a volte attori non all'altezza ma che comporta un gran dispendio di energie. Fo sapeva conquistarsi il pubblico con crescendi travolgenti per poi rilassarsi (e rilassare il pubblico) con dei momenti di calma dove gicava sulle sfumature, ma pronto a riprendere la marcia con brio non appena si accorgeva che il pubblico cominciava un po' a deconcentrarsi. Un gran lavoro d'interazione attore-pubblico che rendeva una serata sempre diverse dalle altre. Ovviamente tutto questo è stato realizzato al massimo livello dal Fo della maturità, dove l'esperienza era aiutata ancora da un perfetta tenuta scenica. Con gli anni, ovviamente, i tempi si sono dilatati e l'effetto travolgente è stato sostituito da quello sornione.
Scat,
improvvisazione e ritmo, più jazz di così!
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